
È interessante vedere il centrodestra appassionarsi all’ipotesi di un partito unico. Una proposta che per la verità avevo avanzato già almeno un paio di anni fa, quando, per un breve periodo, fui coordinatore di Forza Italia. E anche in seguito.
E sempre per la verità, la proposta allora fu accolta con un netto rifiuto da quasi tutti. E anche oggi ritengo siano poche le chance di successo, perché, al netto di una accettazione di maniera, nella sostanza si opporranno quelle stesse classi dirigenti che lo bocciarono allora. Perché? Per un semplice motivo: per costruire un vero partito unico del centrodestra quelle classi dirigenti dovrebbero mettersi tutte il discussione, rimettere il proprio incarico e sottoporsi all’esame del consenso e della democrazia che un partito modello Repubblicani americani pretende come regola base.
Al contrario, oggi qualcuno applaude al Partito Unico per salvare la propria posizione barcollante.
Partiti come i Repubblicani americani, o anche i Democratici, insomma i vasti partiti di tipo anglosassone, mettono insieme sensibilità e gruppi molto diversi. Tengono insieme gruppi di religioni diverse e laici, sensibilità economiche diverse, organizzazioni politiche quasi autonome di Stati e territori diversi, cittadini dai colori della pelle diversi, tradizioni e culture diverse, sindacati territoriali e portatori di interessi talvolta molto diversi.
Come può accadere ciò? Facile, su due principi base elementari: condividere una serie di valori di base semplici e “larghi” e soprattutto il principio della democrazia e della rappresentatività.
Per scegliere la classe dirigente si ricorre infatti al principio elementare della “conta”, che si chiama in USA primarie. Così ogni gruppo “si pesa” e col principio di maggioranza si decide la classe dirigente sulla base del consenso, unico criterio oggettivo riconosciuto in democrazia.
E questo vale rigorosamente come principio fondativo, senza eccezioni. Vale per ogni singola posizione politica: il dirigente locale di partito come il leader, il candidato presidente di un quartiere, il sindaco di una città, il governatore di uno Stato, il presidente della più grande potenza del mondo.
La scelta democratica dal basso per ogni posizione consente ad anime diverse di convivere ed accettare, sulla base di un meccanismo condiviso, di essere talvolta maggioranza, talvolta minoranza.
Ora il centrodestra italiano si è diviso in tanti rivoli e ha subito tante lacerazioni proprio per la mancanza di un meccanismo democratico di selezione del personale politico.
Anzi, quando proposi di misurare con un simile meccanismo i dirigenti e la leadership del mio ex partito, Forza Italia, il rifiuto da parte della sua classe dirigente fu netto e irremovibile.
Allora per costruire davvero un grande partito dei Repubblicani italiani, dove confluiscano tutti gli attuali partiti della coalizione, ma anche molti altri, servirebbe un percorso che non vedo: in pratica un meccanismo che azzeri quei partiti che ne vogliano fare parte. E senza preclusioni per nessuno. Occorrerebbe azzerare le classi dirigenti e le leadership di ogni livello, aprire una fase costituente, stabilire regole comuni per il confronto democratico, e dunque lanciare una fase di primarie o di congressi per stabilire con un metodo democratico non solo il candidato premier, ma i candidati in ogni singolo collegio, in ogni lista bloccata e così via.
Parteciperei volentieri, come elettore del centrodestra alle primarie per scegliere il mio candidato sindaco, il mio candidato in parlamento, il mio candidato Primo Ministro. Ma temo che oggi come allora non accadrà e che qualcuno pensi al Partito Unico del centrodestra come uno strumento per salvarsi, non per mettersi in discussione.
Sperando di sbagliare…