Conservatori di civiltà, modernizzatori del sistema, promotori di merito e democrazia interna.
“Cambiamo!” unisce liberi cittadini che si ispirano ai valori della tradizione liberal democratica, conservatrice dei princìpi fondamentali della civiltà occidentale e riformatrice delle politiche. Si richiama a quella cultura politica che ha sempre saputo coniugare la difesa dell’identità culturale, la risposta alla richiesta di sicurezza e protezione sociale e la modernizzazione dei processi di sviluppo.
Dà voce alla forte esigenza di rinnovamento delle istituzioni e del sistema della rappresentanza nonché al bisogno di recupero dei princìpi della democrazia interna prevedendo, innanzitutto, la contendibilità di tutte le cariche del movimento.
Ritiene la competenza ingrediente essenziale della buona politica e promuove le pari opportunità non come burocratica ripartizione di quote ma come effettiva meritocrazia.
Intende rappresentare un luogo di incontro e di aggregazione che sappia valorizzare esperienze politiche e civiche, competenze culturali e scientifiche nella cornice condivisa di quei valori universali che hanno forgiato nei secoli la civiltà occidentale.
Ambisce a costruire un’area politico-culturale forte e radicata che, consapevole delle trasformazioni del nostro tempo e alla luce della nostra identità e tradizione, possa contribuire al rinnovamento del Paese attraverso politiche di crescita e sviluppo per rispondere alle istanze dei cittadini di oggi e anticipare i bisogni dei cittadini di domani.
Convinti come siamo che la vera politica richieda conoscenza del passato, comprensione del presente e visione del futuro, ci proponiamo di intervenire oggi sulle fragilità e le storture sociali, istituzionali ed economiche per costruire il domani che l’Italia merita.
La società che vorremmo è quella in cui siano garantite a tutti i cittadini pari dignità, libertà e opportunità; nella quale, all’interno di una cornice identitaria e valoriale condivisa, possa esservi rispetto dei diritti della persona, certezza nell’adempimento dei doveri, fiducia nel riconoscimento di giustizia; nella quale alle paure dell’oggi e all’inquietudine per il domani si risponda con la garanzia della sicurezza e con la promozione del benessere; nella quale lo sviluppo si coniughi con la considerazione del patrimonio ambientale, culturale e artistico, e la difesa dell’ambiente rimandi alla centralità dell’uomo in quanto tutela del luogo nel quale l’uomo vive e opera.
Una società nella quale ogni cittadino possa esprimere se stesso e contribuire, forte del bagaglio del passato, alla costruzione del futuro.
“Cambiamo” è un partito politico libero e democratico, organizzato su base territoriale e aperto a tutti coloro che si riconoscano nei princìpi e nelle finalità previste dalla presente Carta. Promuove la partecipazione attraverso tutte le forme di confronto, discussione e condivisione comprese le più innovative piattaforme tecnologiche. È saldo nella propria identità e aperto a cogliere le nuove opportunità di coinvolgimento e di sviluppo.
PROPOSTA POLITICA
La centralità della persona è il principio su cui si fonda la civiltà occidentale, valido per credenti e non credenti. Si traduce in un’idea di libertà non improntata all’assolutismo individualista ma coniugata con la responsabilità che deriva anche dall’appartenenza alla medesima comunità.
L’auspicio tipico di una visione autenticamente liberale è che lo Stato si intrometta il meno possibile e nella misura minima indispensabile nella sfera personale. Laddove l’intervento statale è reso necessario dall’invadenza di altri poteri - a cominciare da quello giudiziario -, esso deve agevolare la persona nella realizzazione dei propri obiettivi esistenziali e sostenerla nelle condizioni di fragilità. Lo Stato, insomma, deve svolgere un ruolo sussidiario attraverso interventi a favore delle famiglie, della natalità, della terza età e tesi al superamento di tutte le barriere fisiche e culturali e delle difficoltà connesse alle disabilità.
Lo Stato deve essere più efficiente e meno costoso, ridurre la zavorra del debito pubblico e della spesa improduttiva. Ma deve anche rinnovarsi nelle sue strutture, cogliendo nel principio dell’autonomia solidale l’occasione per promuovere in un quadro unitario le buone pratiche amministrative e superare i gap territoriali. E se è ferma la difesa delle istituzioni parlamentari e della democrazia rappresentativa, un assetto istituzionale più funzionante deve consentire risposte più tempestive alle istanze dei cittadini e una autoriforma del sistema politico rendere la rappresentanza più efficace e meritocratica.
Cittadini e imprese meritano una giustizia certa, tempestiva ed equa, ancorata ai princìpi del giusto processo e della presunzione di non colpevolezza, in grado di garantire la certezza della pena e la dignità del detenuto, e, in campo civile, la rapida soluzione delle controversie per non dissipare la naturale attrattiva dell’Italia e del “sistema Italia”.
C’è bisogno di un nuovo patto fiscale che renda equo e sostenibile un sistema impositivo oggi avvertito come troppo esoso e vessatorio; un nuovo rapporto fra il contribuente e lo Stato, basato non più sul sospetto ma sulla cooperazione per il raggiungimento di obiettivi di riduzione fiscale, migliorerebbe la vita dei cittadini e delle famiglie, favorirebbe lo sviluppo demografico, sosterrebbe la nascita e la crescita delle attività economiche e produttive con conseguenti ricadute occupazionali e di gettito.
La riduzione della pressione fiscale è l’obiettivo primario da perseguire, anche attraverso una corretta applicazione del sistema del contrasto di interessi, utilizzando il recupero dell’evasione per coprire minori tasse e non maggiori spese. La ricchezza di un Paese non è infatti solo apparato e patrimonio pubblico: essa è rappresentata anche, e innanzitutto, dal benessere dei propri cittadini, dal risparmio delle famiglie, dal patrimonio personale, dalla capacità di consumo e dal potere d’acquisto dei singoli. Meno tasse, dunque, ma anche una doverosa revisione dei costi fissi applicati all’erogazione dei servizi da soggetti privati, soprattutto quando è la legge stessa a imporre al cittadino di avvalersene.
Il tema dell’immigrazione, spesso affrontato con misure tardive e parziali, è un esempio lampante dell’incapacità da parte dei poteri pubblici di valutare e prevedere le conseguenze di un fenomeno. I flussi migratori vanno invece governati non tralasciando nessun aspetto del problema, con accordi bilaterali finalizzati a creare sviluppo nei Paesi d’origine e di transito per limitare la pressione sulle coste libiche; con la formazione e il supporto assicurato alle autorità libiche, favorendo anche la sottoscrizione di convenzioni internazionali, al fine di limitare le partenze; con il contrasto al traffico internazionale di esseri umani e alle relative organizzazioni criminali; con il controllo del tratto di mare interessato dalle traversate, al fine di ridurre le tragedie senza incentivare il flusso; provvedendo ai rimpatri e perseguendo un nuovo accordo europeo che riguardi specificamente la gestione dei migranti economici, accanto alla revisione dell’accordo di Dublino applicabile solo ai profughi da aree di guerra.
Non si deve poi perdere di vista la gestione dei clandestini già presenti sul nostro territorio, spesso destinati a ingrassare le reti criminali presenti sul territorio nazionale e dedite ad attività delinquenziali: dalla prostituzione anche minorile alla micro-criminalità, fino al traffico di stupefacenti, vera minaccia diretta alla sicurezza di tutti i cittadini.
Una considerazione specifica va poi rivolta all’immigrazione di seconda generazione: alla luce del fallimento del multiculturalismo e dell’assimilazionismo sperimentati in altri Paesi europei, va edificato un sistema di integrazione autentica e regolata, che prevenga tanto le discriminazioni quanto le situazioni di disagio sociale e garantisca la sicurezza e il benessere di tutti i cittadini.
Il tema della sicurezza, seppur complementare, non può essere limitato e sovrapposto a quello dell’immigrazione. Garantire la sicurezza dei cittadini è funzione precipua dello Stato. Il suo adempimento implica da un lato la lotta alla criminalità organizzata, da tempo non più esclusiva di alcune aree del Paese ed evolutasi nei sistemi di controllo e incidenza sul territorio soprattutto in campo economico, dall’altro il contrasto della microcriminalità, piaga che colpisce indiscriminatamente e che spesso sfocia in atti di violenza.
Particolare attenzione va posta inoltre al contrasto del traffico di droga e di esseri umani destinati alla prostituzione anche minorile e alla prevenzione della violenza all’interno dei nuclei familiari. Presupposto è un capillare presidio dello Stato sul territorio, attraverso la valorizzazione e la tutela delle forze dell’ordine, l’eliminazione delle sacche di degrado nelle quali lo Stato sembra assente, e un’attenzione specifica ai luoghi di aggregazione giovanile, sia scolastici che ricreativi, sempre più spesso interessati dalla promiscuità con il traffico di stupefacenti.
Sicurezza significa anche vivibilità dell’ambiente urbano. In questo senso, appare di capitale importanza la riqualificazione e il recupero delle periferie delle nostre città, troppo spesso lasciate in balìa del degrado. Decoro urbanistico, migliori collegamenti con le zone centrali, controllo del territorio, potenziamento dei servizi, promozione economica e socio-culturale: queste le leve per contrastare i fenomeni sempre più diffusi di abbandono e di alienazione.
Occorre infine un complesso normativo che consenta di intervenire con efficacia laddove sia presente una minaccia per la sicurezza dei cittadini e fornisca strumenti di reale deterrenza e sanzione rispetto alle attività criminali.
Quanto ai divari che attraversano il nostro Paese, per lungo tempo siamo stati abituati a pensare alle grandi fratture del nostro territorio nazionale in termini di Nord/Sud. È un dualismo che persiste, al quale si aggiunge tuttavia un’altra cesura che rischia di minare la coesione: una faglia che corre lungo la dorsale appenninica e che sempre più sta isolando le aree interne rispetto alle fasce costiere.
Quella della faglia non è una metafora casuale: la crisi antica dell’entroterra appenninico è stata infatti aggravata di molto dai terremoti che si sono susseguiti dal 2009 in poi, i quali, anche per la gestione fallimentare del sisma del 2016-2017, hanno accelerato una tendenza allo spopolamento che va contrastata con ogni mezzo, tanto economico e infrastrutturale quanto sociale e culturale, senza tralasciare un piano strutturale di prevenzione anti-sismica e ricostruzione post-sismica.
Per quanto riguarda il divario tra Nord e Sud, la chiave è il recupero di una concezione sussidiaria dello Stato, che moduli il proprio intervento rispetto alle esigenze e alle peculiarità di ciascun territorio. Alla strada intrapresa dal Nord nel senso di un’autonomia differenziata in un quadro unitario e solidale, può dunque affiancarsi, in termini complementari, un intervento straordinario per il Mezzogiorno che razionalizzi la gestione delle risorse già esistenti e spesso sperperate quando addirittura non impiegate – come ad esempio i fondi europei – e realizzi le condizioni di contesto, in termini di infrastrutture, sicurezza e formazione del capitale umano, che rendano il Sud attrattivo per gli investimenti produttivi e gli consentano di camminare con le proprie gambe.
Lo sviluppo e la crescita sono obiettivi fondamentali di uno Stato moderno che vede nel progresso e nel benessere dei cittadini il fine delle proprie politiche economiche. Ed è nell’impresa, nel commercio e nelle attività professionali che risiedono i centri propulsivi dello sviluppo. Compito di uno Stato sussidiario è accompagnare e incentivare la libera attività economica, favorendo il possibile e controllando il necessario. Occorre promuovere politiche adeguate al tessuto produttivo diffuso, composto di piccole e medie imprese, ma ponendo allo stesso tempo la giusta attenzione ai settori industriali strategici; sostenere gli investimenti e favorire la crescita delle attività produttive; semplificare la burocrazia che attanaglia l’esercizio delle professioni, frena l’intrapresa e ne ostacola lo sviluppo; agevolare in un quadro regolato gli scambi internazionali di merci e servizi con la promozione di accordi e condizioni che favoriscano l’esportazione della produzione italiana e del nostro sistema produttivo.
Il turismo, rilevante vettore di sviluppo per il nostro Paese le cui potenzialità non sono adeguatamente colte, necessiterebbe di una visione integrata. La contestuale disponibilità di attrattive artistico-culturali, urbanistiche, naturali e paesaggistiche (montane, costiere e collinari), spirituali, climatiche, agroalimentari ed enogastronomiche, rende l’Italia un unicum nel panorama mondiale. Mettere a sistema tali risorse, connettendo i circuiti tradizionali a percorsi ancora largamente inesplorati come quelli relativi al cosiddetto “turismo lento”, affermerebbe il “brand Italia” in chiave sia interna che internazionale, consentendo quel salto di qualità in grado di generare sviluppo e benessere diffuso sul territorio.
Bisogna inoltre passare dalla propaganda dei No alla progettualità dei Sì: Si agli investimenti nelle grandi opere infrastrutturali, materiali e immateriali; Sì alla revisione delle reti esistenti per superare i gap territoriali intra nazionali fra Nord e Sud, fra zone costiere ed entroterra, fra isole e continente; Sì allo sviluppo e all’applicazione di nuove tecnologie nella produzione e distribuzione dell’energia, nel ciclo dei rifiuti e nel recupero del territorio a rischio idrogeologico e sismico; Sì alla revisione del patrimonio immobiliare pubblico, a partire dalle scuole. Grandi progetti innovativi per rendere il Paese più sicuro, più ricco, più giusto per tutti.
Strategica per il nostro Paese è poi la politica energetica, in virtù della nostra posizione geografica che ci rende hub naturali fra il nord Africa, l’Asia e il nord Europa e per la struttura geofisica che ci ha consentito, con l’idroelettrico, di essere dei precursori nel rinnovabile, settore in cui la produzione ha visto svilupparsi anche le più moderne tecnologie. Per valorizzare questi aspetti è necessario dunque proseguire nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento e nello sviluppo delle energie rinnovabili attraverso la realizzazione di infrastrutture, reti intelligenti, batterie di accumulo e incentivando settori di innovazione tecnologica come l’efficienza energetica.
Guardando al contesto che ci circonda, c’è bisogno di una “rivoluzione antropocentrica” nella salvaguardia ambientale, da intendersi come difesa del luogo nel quale l’uomo vive e opera. In opposizione a una illusoria “decrescita felice”, presupposto di deperimento, abbandono e depauperamento del territorio, è necessario un approccio all’ambiente improntato allo sviluppo e alla crescita in chiave tanto di promozione delle attività rurali, agricole, zootecniche, boschive e venatorie, oggi spesso incomprese nella loro importanza e gravate da vessazioni fiscali e burocratiche difficilmente sostenibili, quanto di innovazione tecnologica e di investimento per il futuro.
Oltre alle attività tradizionalmente legate al mondo agricolo-rurale, particolare attenzione va posta alla chiusura del ciclo dei rifiuti, terreno potenziale per un nuovo settore d’impresa; agli investimenti per la riduzione del rischio idrogeologico e del rischio sismico; alle nuove tecnologie in campo di efficienza energetica, produzione e distribuzione dell’energia. L’ambiente deve inoltre essere oggetto di promozione assieme al patrimonio culturale e artistico, con finalità conservative e turistiche e con un approccio che veda la tutela e la valorizzazione come esigenze non contrapposte ma complementari.
Dal materiale al virtuale: come stabile una virtuosa sinergia? Un luogo, un mezzo, un settore economico: internet è tutto questo e niente di tutto questo. Su internet viaggia l’informazione, a volte fake; si sviluppano nuove economie e si affacciano quelle tradizionali; si commettono reati.
Internet non va regolato o limitato, vanno però regolate le attività che si svolgono su di esso: elaborando un sistema di contribuzione fiscale per i grandi gruppi esteri che operano in Italia attraverso il web; agevolando lo sviluppo del commercio online sviluppando le infrastrutture digitali, in chiave non oppositiva ma complementare rispetto ai luoghi di produzione e distribuzione fisica; favorendo l’immissione sul mercato di quei prodotti di nicchia dei quali l’Italia è ricca e che altrimenti sarebbero emarginati dalle dinamiche della globalizzazione; colpendo i reati commessi attraverso l’uso delle piattaforme tecnologiche, che grazie ai dispositivi mobili entrano nella sfera personale soprattutto dei più giovani (adescamento, bullismo, stalking); garantendo il diritto alla privacy e all’identità, messo a rischio dal commercio dei dati personali, e il diritto all’oblio; contrastando i grandi traffici del deep web e ponendo una particolare attenzione al tema della sicurezza internazionale. Internet non è solo social media: è la più grande innovazione degli ultimi tempi e ha bisogno, per il possibile, che la politica ne sfrutti le potenzialità e ne limiti i rischi.
Obiettivo: creare un sistema virtuoso che conduca dalla formazione all’ingresso nel mercato del lavoro senza soluzione di continuità, valorizzando le competenze e riconoscendo la funzione formativa svolta dalle imprese. Occorrono nuove regole che garantiscano i diritti di lavoratori, determinando una soglia di salario minimo, che riducano drasticamente il cuneo fiscale e che prevedano forme di flessibilità contrattuale più rispondenti alle esigenze dei diversi settori e volte alla costruzione del curriculum del lavoratore.
A fronte degli interventi normativi degli ultimi anni, che introducendo al tempo stesso eccessiva rigidità e un’eccessiva surrettizia “liquidità” contrattuale hanno causato l’impennata della inoccupazione, la risposta non può essere il finanziamento dell’assistenzialismo “modello reddito di cittadinanza”. Deve piuttosto consistere nel recupero di un sistema virtuoso che premi la produttività e lasci spazio, in un quadro di regole condivise, alla compartecipazione intra-aziendale e alla contrattazione decentrata, che consenta di adeguare i rapporti lavorativi ai contesti geografici, sociali e produttivi, incentivando la ripresa dei livelli occupazionali.
Va perseguito inoltre un sistema che favorisca un effettivo rispetto delle pari opportunità: pari accesso, pari dignità, pari condizioni salariali e forme adeguate di conciliazione fra lavoro e famiglia.
Il nostro Paese sta infatti attraversando un vero e proprio inverno demografico. Si tratta della più grave minaccia che incombe sul futuro dell’Italia, tanto in termini di ricambio generazionale e vitalità nazionale, quanto in termini di sostenibilità del welfare. Il fenomeno può e deve essere affrontato sul piano culturale, ma è necessaria altresì una difesa dell’istituto familiare costituzionale e del suo ruolo giuridico pubblicistico dettato dall’esigenza di sopravvivenza della specie e della società. In questa chiave è essenziale un piano di incentivo e sostegno alla natalità, tanto economico quanto normativo e sociale.
La società italiana è profondamente cambiata nelle sue strutture fondamentali ma alla sua evoluzione non si è visto corrispondere l’adeguamento dei sistemi di welfare, previdenza e sanità, con effetti drammatici soprattutto in alcune aree del Paese e con la prospettiva futura di un sistema non più in grado di soddisfare le esigenze sociali. Il diritto all’accesso alle cure non è garantito se il livello delle medesime cure non è adeguato in tutto il territorio nazionale: una corretta riforma del sistema sanitario dovrebbe affiancare ai costi standard la garanzia di livelli standard di efficienza, premiando al contempo le eccellenze e i poli di ricerca e innovazione. Mentre una giusta riforma del sistema pensionistico dovrebbe guardare alla struttura sociale e alla sua tenuta piuttosto che limitarsi a rimediare ai danni delle norme del passato.
La prospettiva fondamentale di una società vitale è la formazione delle generazioni future, che dobbiamo accompagnare con un percorso di istruzione che valorizzi lo straordinario portato culturale della nostra tradizione e risulti competitivo, anche nei tempi, su un mercato del lavoro che si va internazionalizzando. In questa chiave, alla realizzazione di opportunità per i nostri giovani entro i confini nazionali va affiancata un’opera di valorizzazione anche all’estero del “genio italiano”.
C’è bisogno di una riforma complessiva del sistema scolastico, dell’università, della formazione professionale, degli enti di ricerca, e di un rapporto tra pubblico e privato fondato sul principio di sussidiarietà, per creare un luogo formativo che sia al contempo della tradizione e dell’innovazione italiana. Si tratta di un percorso complessivo che abbia come obiettivo non solo l’ingresso nel mondo del lavoro ma anche il raggiungimento anticipato dell’indipendenza economica, primo tassello per la costruzione di un nuovo nucleo familiare; che dia le stesse possibilità a tutti, al di là del genere, della condizione sociale, geografica, economica, e allo stesso tempo sappia premiare il merito.
La scuola è il primo luogo dove il cittadino incontra lo Stato: è la porta d’ingresso alla società basata sui principi del rispetto dei diritti e dei doveri, ma soprattutto è una delle principali agenzie di formazione della società del futuro.
Anche per questo scuola, università, enti di formazione debbono svilupparsi nel quadro di una indispensabile sussidiarietà tra pubblico e privato che favorisca l’insegnamento critico e assicuri standard di qualità adeguati. Dovranno promuovere la leale competitività tra i discenti e sentirsi tra essi stessi in sana competizione, al fine di elevare lo standard della loro offerta a tutto vantaggio degli utenti e della società di domani.
Noi e l’Europa. Siamo europeisti perché intendiamo far parte dell’Unione: partecipando alle decisioni e non più subendole; portando più Italia in Europa attraverso la difesa degli interessi economici nazionali, la riforma delle politiche europee sull’immigrazione e la difesa dei cittadini e delle imprese coinvolte dalla Brexit. Ma soprattutto promuovendo una radicale riforma politica dell’Unione in modo da rendere l’Europa non più un soggetto involuto dedito solo allo sviluppo della burocrazia interna ma attivo sullo scenario internazionale al pari delle grandi potenze.
Noi e il mondo. Fermi restando i contesti delle tradizionali alleanze e l’imprescindibile collocazione atlantica, l’Italia deve tornare a contare anche negli snodi geopolitici cruciali: dal nord Africa al medio oriente, dove sono in discussione la difesa della sicurezza internazionale e degli interessi economici delle nostre imprese. Nel campo della difesa il rafforzamento della posizione italiana passa dalla rinegoziazione del ruolo nei consessi e nelle missioni all’estero e dallo sviluppo di partnership industriali internazionali.